mercoledì 18 gennaio 2017

Una schifezza assoluta

Come la maggior parte dei runners che conosco, svolgo la quasi totalità dei miei allenamenti in maniera abitudinaria e ripetitiva. Le locations sono sempre le medesime, i percorsi vengono ben definiti sia nel chilometraggio che nell’altimetria, conosco le difficoltà ed i punti di riferimento relativi ai tracciati che devo affrontare, in modo da porre rimedio qualora capiti qualche imprevisto. Negli ultimi mesi, ho corso prevalentemente al Parco della Maggiolina, che offre un circuito leggermente inferiore ad un chilometro da inanellare più volte al fine di svolgere lavori su distanze medio/brevi, e sul lungomare tra Lerici e San Terenzo, molto suggestivo dal punto di vista panoramico e discretamente impegnativo anche sotto il profilo muscolare. Una mia precisa necessità è l’illuminazione artificiale: i miei allenamenti si concludono prima che sorga il sole e devo vedere con anticipo qualsiasi ostacolo mi si frapponga davanti alle gambe, per poterlo evitare. Ieri mattina mi presento davanti all’entrata del Parco della Maggiolina alle sei meno un quarto del mattino. Compio il mio rituale stretching in solitaria, flagellato da un vento insolito alle nostre latitudini e parto per una quarantina di minuti di corsa a buon ritmo. Dopo poche centinaia di metri mi ritrovo in mezzo ai piedi una bottiglia di Tennent’s vuota che, trasportata dalla tramontana, stava rotolando sul marciapiede in direzione ostinatamente opposta alla mia. La evito, penso con tristezza che la ritroverò nel giro successivo e comincio ad elaborare una strategia per eliminarla senza interrompere la mia ritmica: nel mentre, mi sto approssimando a svoltare in direzione della Questura senza ancora prefigurarmi cosa sta per succedere. Giro la curva e scopro che la birra era niente, in confronto alla spazzatura che dovrò dribblare nei prossimi cento passi: una latta d’olio, una cassetta di polistirolo, sacchi di plastica pieni e vuoti di tutte le forme e tipi, una stagionalissima confezione di chiacchiere e, per concludere, un simpatico mulinello di foglie in cui affosso la mia gamba sinistra vedendola scomparire fino all’altezza del polpaccio. Ritorno al punto di partenza e penso che, tra quattro minuti, sarò nuovamente in mezzo alla rumenta e, così, ancora per una decina di volte. La mia mente corre (lei, sì, senza ostacoli...) verso la pista ciclabile di Bottagna, che ho abbandonato per la scarsa igiene, e immagino con nostalgia i netturbini lericini che, in quel preciso momento, stanno ripulendo la zona antistante l’attracco dei battelli, come li ho sempre visti fare alle sei del mattino: lì, a quell’ora, c’è qualcuno che lavora per noi e, in silenzio, rimuove la sporcizia lasciata dai soliti maleducati. Perché sarà pur vero che la spazzatura lasciata per strada è una precisa responsabilità di quei (pochi) cittadini incivili ma - una volta superato lo sdegno e l’indignazione - bisogna toglierla, altrimenti si vive nel mezzo della schifezza assoluta...

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