mercoledì 8 agosto 2012

Uno sport che logora

Spero che mi venga consentita, almeno ogni tanto, una riflessione ad ampio respiro, che travalichi i confini dell’atletica spezzina per rivolgersi ad avvenimenti internazionali. Sin da martedì sera tutti i miei conoscenti mi fermano per strada e mi chiedono cosa penso del caso-Schwazer. Non riuscendo a nascondere la mia delusione, sono spesso costretto ad ammettere che, silenziosamente o più fragorosamente come in questi giorni, il doping sportivo esiste. Il nostro è uno sport che logora e sembra un po’ inutile dircelo tra noi runners, ma i nostri ritmi di allenamento a qualunque intensità sono sfiancanti sia a livello psicologico che in termini fisici. Se si vuole raggiungere un risultato soddisfacente nell’atletica, qualsiasi sia l’interpretazione che vogliamo dare al termine “soddisfacente”, il mezzo per giungervi è sempre il solito: sacrificio, magliette, pantaloncini e calzini intrisi di sudore e tempo sottratto ad attività meno stressanti della corsa. Noi non abbiamo il privilegio del calcio, in cui talvolta la tecnica e la fantasia suppliscono a carenze atletiche, o le prerogative del basket o del volley, ove la natura ci mette spesso lo zampino: il runner è un lavoratore. E, come spesso accade nella vita di tutti i giorni, c’è il lavoratore che timbra e va a fare la spesa, c’è quello che gira tutto il giorno con un foglio in mano fingendo di avere chissà cosa da fare ma in realtà non fa nulla e c’è chi, per stress, va in tilt e si suicida. Purtroppo negli ultimi due anni abbiamo assistito al suicidio sportivo dei campioni olimpici in carica in due tra le specialità più logoranti nell’atletica: nel caso di Samuel Wanjiru abbiamo perso anche l’uomo, triturato dall’alcol e da cattive frequentazioni e morto in circostanze che non saranno mai chiarite, mentre la vicenda di vita di Alex Schwazer in realtà comincia adesso, nel momento preciso in cui la sua carriera sportiva ha raggiunto il suo punto più basso e (almeno mi auguro) l’ultimo. Nella mia modesta opinione, non mi sento di giudicare chi è disonesto, perché non è il mio lavoro e perché spesso si viene influenzati da fattori esterni e dall’emotività del momento, ma spero soltanto che io e gli altri amatori impareremo da quello che vediamo intorno a noi senza pretendere, con allenamenti eccessivi o con modi illeciti, più di quanto i nostri fisici non riescano a fare.

3 commenti:

  1. Difficile meravigliarsi, quando vedi atleti bianchi che in un 10000 sprintano con gli Etiopi, quando atleti che poco tempo prima erano buoni Master gareggiano per l'oro Olimpico, quando atleti di 48 anni vanno a velocita' di quando ne avevano 25, quando i nuotatori sbriciolano i record Mondiali che erano stati fatti con costumi a squame reputati troppo vantaggiosi...Quanti altri "quando" ci sarebbero da scrivere??? Troppo spesso si gareggia per il podio e poco spesso si gareggia per migliorare Noi stessi...Insegnamo ai giovani che il risultato non e' battere l'avversario o migliorare un primato Nazionale, ma correre per crescere...Riccardo Cervi

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    1. DACCORDO SU TUTTO CON RICCARDO APPROFITTO PER SALUTARE TE DAVIDE E LUI E TUTTO IL FAVARO CIAO ALESSANDRO...

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  2. Bravo Davide, hai sollevato un problema che, sono sicuro, avrà la forza di far discutere le persone, gli atleti del nostro microcosmo sportivo. Rispetto a quello che dice Riccardo ho una visione un po' più romantica dello sport. Penso che chi ama lo sport non possa essere prevenuto per sempre perché un atleta che ammirava è stato scoperto dopato. La delusione sarà grande ma bisogna continuare a credere, quanto si assiste ad un record del mondo, ad una prestazione eccezionale, nella buona fede. Un po' come nell'amore: non si può dubitare di tutte le donne o gli uomini solo perché un giorno una persona che amavamo ci ha dato una delusione.
    D'altronde sarebbe giusto anche pensare che le prestazioni sensazionali, i nuovi record sono anche frutto della ricerca sui materiali, sull'alimentazione, sulla medicina (intesa come fisioterapia e cura). Gianni Rivera, fortissimo, vinceva il pallone d'oro, giocando ad un ritmo, Messi, fortissimo anche lui, vince lo stesso trofeo, giocando ad una velocità di molto superiore e non è necessariamente merito del doping. In queste Olimpiadi, ad esempio, hanno detto e scritto che la pista su cui si disputano le gare di atletica è molto reattiva e veloce, e questo può senz'altro influire sui risultati.
    Insomma, anche a me, dopo averne viste e lette tante, quando vedo i ciclisti professionisti che si sciroppano 250km tutti i giorni, e poi fanno volate ai 70 all'ora, mi vengono un po' di dubbi. Però poi penso che fanno allenamenti massacranti (30mila km all'anno), hanno uno staff che pensa a tutto, massaggi, fisioterapia... loro devono solo correre, alimentarsi e dormire. Quindi fino a prova contraria quando vedo un'impresa gioisco come a un tunnel di Cristiano Ronaldo o a una schiacciata di LeBron James, sperando di non dovermi ricredere di lì a poco. Sarebbe la morte dello sport e della mia emozione verso lo sport, se pensassi che sarebbe inutile assistere ad una gara di Bolt perché l'eventuale prestazione potrebbe essere "falsata".
    Piuttosto penso che tutte le federazioni, di qualsiasi sport, si debbano uniformare nei controlli (non è plausibile che per atletica e ciclismo ci siano controlli continui e a sorpresa con una metodologia di un certo tipo e per altri sport, come il calcio, ci sia un protocollo totalmente diverso).
    E' giustissimo insegnare ai nostri figli l'etica sportiva, i migliori valori a tutti i costi, stigmatizzare ogni possibile scorciatoia per arrivare a un risultato.
    Però quando assistiamo alle Olimpiadi, ai Mondiali, ad ogni manifestazione e meeting, vediamo atleti che gareggiano per migliorarsi ma anche per battere gli avversari. E sono sicuro che anche nel nostro piccolo non ci sia niente di male a competere, basta pensare che anche le sconfitte possono aiutare a crescere.
    Riccardo Balossino

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